Le caratteristiche distintive del movimento artistico dei Macchiaioli, le opere e gli artisti di questa importante corrente italiana
I Macchiaioli sono stati uno dei movimenti artistici più importanti nella storia dell’arte italiana. Nato a metà del XIX secolo da un gruppo di artisti che cercavano di rompere con le convenzioni dell’arte accademica, il movimento fu caratterizzato da un forte interesse per la realtà quotidiana e per la pittura all’aria aperta. In questo articolo, esploreremo le caratteristiche del movimento, analizzando le tecniche impiegate dagli artisti e il loro contributo alla cultura italiana.
Cosa significa esattamente Macchiaioli
L’elaborazione dell’ideologia Macchiaiola ebbe un grande contributo dalle novità più importanti dell’arte francese. In particolare, il 1855 fu un anno cruciale nella comprensione artistica del gruppo, sviluppata attraverso fervidi dibattiti da De Tivoli, Francesco Saverio Altamura e Giovanni Morelli, tutti partecipanti alla Exposition Universelle di Parigi. Successivi viaggi a Parigi hanno permesso ad altri pittori del circolo fiorentino di apprezzare l’arte di Corot, Millet e della Scuola di Barbizon, così come lo scioccante realismo di Courbet. Queste esperienze hanno spinto una riflessione essenziale sul genere paesaggistico e sulle capacità rappresentative della pittura.
Il termine “Macchiaioli” trova origine nell’arte di contrapporre sulla tela o altri mezzi (come le memorabili tavole di legno di Fattori), vasti spazi di colore che appaiono quasi come macchie. Queste ‘macchie’ delineano l’immagine tramite contrasti di toni e luci ed ombre, presentando una macchia contro una forma.
Questo nome fu utilizzato per la prima volta nel 1862, con un tono negativo, da critici che si opponevano a questa nuova corrente artistica, ma fu poi adottato dal gruppo stesso, trasformandolo in una definizione positiva.
Conosciamo meglio il movimento dei Macchiaioli e la loro arte
Il movimento dei Macchiaioli rappresenta uno dei momenti più importanti e d’avanguardia della pittura italiana dell’Ottocento, generando sviluppi sino agli inizi degli anni ’70. Presso il rinomato Caffè Michelangelo, si radunavano membri del gruppo che erano sia di origine fiorentina che provenienti da diverse parti dell’Italia. Questi artisti erano uniti da un comune desiderio di sperimentare tecnicamente ed espressivamente, cercando un perfetto bilanciamento tra la lealtà alla percezione visiva e il significato evocativo della rielaborazione artistica.
Giuseppe De Nittis dalla Puglia, i veneziani Federico Zandomeneghi e Guglielmo Ciardi, e Giovanni Boldini di Ferrara, sperimentarono la tecnica della macchia, sebbene non si affiliassero completamente al movimento.
Tra il 1855 e il 1867, questo gruppo di artisti, inizialmente chiamati in modo derisorio “Macchiaioli”, si raccoglievano come detto precedentemente al Caffè Michelangelo a Firenze, ed erano intenzionati a promuovere un genere di pittura che imitasse “l’Impressionismo della realtà”.
Cristallizzando l’approccio degli Impressionisti, rinunciarono alla supremazia del disegno per favorire il colore a “macchia”. Prediligevano dipingere paesaggi rurali toscani, il quotidiano, il tempo libero e le vacanze, le persone povere e la loro situazione sociale. Tali temi rispecchiano quelli del Realismo francese e, di conseguenza, del Verismo, e in qualche modo quelli dell’Impressionismo. Questi pittori erano interessati alle guerre per l’indipendenza nazionale e parteciparono volontariamente nelle guerre del Risorgimento italiano.
Gli esponenti più importanti del movimento artistico dei Macchaioli
La poetica macchiaiola si contraddistingueva per la sua netta avversione all’arte accademica, percepita come stereotipata nelle sue tecniche (come ad esempio, la priorità assoluta data al disegno piuttosto che al colore) e nei suoi soggetti.
Essa privilegiava, invece, la raffigurazione della quotidianità domestica e delle umili attività lavorative, principalmente quelle contadine. Non mancavano opere dedicate agli episodi delle guerre d’indipendenza, nelle quali molti macchiaoli furono protagonisti, ma sempre privi di un intento celebrativo ed eroicizzante (ad esempio, “Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta” di Giovanni Fattori, 1861, Galleria d’arte moderna, Firenze).
La corrente macchiaiola rigettò la pittura che per tanti anni aveva optato per temi storici, mitologici e religiosi, dominando così l’arte italiana dell’ottocento, e cercò invece di focalizzarsi sulla rappresentazione della realtà e del contemporaneo.
Alcuni degli esempi più emblematici di questa corrente artistica includono:
- interni, spesso illuminati dalla luce di una finestra (“L’educazione al lavoro”, di Silvestro Lega, 1863, Collezione Dini, Montecatini Terme)
- i paesaggi toscani, divisi chiaramente in zone di ombra e di luce (“Fine d’agosto a Pietramala”, di Telemaco Signorini, Galleria d’arte moderna, Firenze; “Il Mugnone”, di Odoardo Borrani, Galleria nazionale di arte moderna, Roma; “Tetti al sole”, di Raffaello Sernesi, 1861, Galleria nazionale di arte moderna, Roma; “Chiostro”, di Giuseppe Abbati, Galleria d’arte moderna, Firenze).
Nel movimento si evidenziavano soprattutto le seguenti figure:
- Telemaco Signorini, che era anche un teorico del movimento insieme al critico Diego Martelli,
- Giovanni Fattori,
- Adriano Cecioni,
- Silvestro Lega,
- Giuseppe Abbati,
- Serafino De Tivoli,
- Nino Costa,
- Raffaello Sernesi,
- Vincenzo Cabianca,
- Odoardo Borrani
- Cristiano Banti.
I Macchiaioli, tra cui l’influente Giuseppe Raggio, noto per le sue scene del Messico, furono artisti che intrapresero numerosi viaggi internazionali, contribuendo alla loro crescita artistica. L’apice dell’influenza del gruppo si verifica durante il periodo delle scuole di Castiglioncello e di Pergentina, denominate così in base alle location in cui operavano. Tra gli artisti di Castiglioncello ricordiamo:
- Abbati,
- Sernesi,
- Borrani,
- Fattori,
- Boldoni,
- Signorini
- Zandomeneghi
- Silvestro Lega che invece si distingueva come il principale rappresentante della scuola di Pergentina.
In particolar modo:
Giovanni Fattori, tra i suoi soggetti più amati ci sono i soldati e i teatri di guerra, visibili nell’opera In vendetta. In quest’opera egli unisce con maestria due stili di solito separati, il dipinto storico e paesaggistico, integrando un tema militare in un equilibrio perfetto con una brillante luce solare. Quest’intensità luminosa è replicata anche nell’opera Gli spacca sassi. Il colore è l’unico strumento che Fattori utilizza per creare la sua pittura, come evidenziato nel dipinto Silvestro Lega che pittura sugli scogli, dove Fattori utilizza le texture del legno per ricreare visivamente la sensazione del vento che colpisce gli scogli.
Silvestro Lega aggiorna l’interpretazione delle emozioni familiari, un esempio è nell’opera “L’educazione al lavoro”. Pur essendo di stampo purista, ciò che risulta inedito è l’importanza attribuita alla luce che penetra dalla finestra, che diventa l’elemento chiave.
Raffaello Sernesi fa uso della pratica ‘en plein air’, principalmente nell’opera “Tetti al sole”. In questa, egli utilizza grandi pannelli colorati per rappresentare l’ombra o la luce, a seconda che le tonalità usate siano fredde o calde.