Arriva la docuserie su Raffaella Carrà. Sarà disponibile a partire dal 27 dicembre su Disney+. Scopriamone qualcosa di più nel giorno del suo esordio sulla piattaforma online.
È stata un’icona italiana, la cui fama si è diffusa in tutto il mondo. Durante la sua vita è stata tante cose: soubrette, cantante, ballerina, attrice, conduttrice televisiva, autrice televisiva e conduttrice radiofonica. Stiamo parlando di Raffaella Carrà, scomparsa nel 2021 e a cui è stata ora dedicata una docuserie, che sarà disponibile a partire da oggi, mercoledì 27 dicembre, su Disney+.
La docuserie sulla Carrà arriva su Disney+
Il prodotto, realizzato in tre puntate, è un viaggio unico nella vita e nella carriera di Raffaella. Un percorso che si snoda tra pubblico e privato e unisce oltre 1500 contributi tra show, interviste, filmati anche di famiglia, immagini mai viste, più le testimonianze di chi ha lavorato con lei, in Italia e nel resto del mondo, da Salvo Guercio a Caterina Rita, da Enzo Paolo Turchi a Loles Leon; componenti della sua famiglia, come il nipote Matteo Pelloni, e Barbara Boncompagni (anche coautrice della docuserie con Guercio, Cristiana Farina, Carlo Altinier, Salvatore Coppolino), della sua sfera di amici, di chi l’ha conosciuta frequentata o anche solo ammirata: fra gli altri, Fiorello, Loretta Goggi, Renzo Arbore, Tiziano Ferro, Marco Bellocchio, Bob Sinclar, Nick Cerioni, Emanuele Crialese.
“Entrare nel mondo di Raffaella Carrà mi ha fatto avvicinare a un vulcano, a una sorgente di calore fortissima, che non è spiegabile solo con lo studio o la cultura ma con una combinazione di dati genetici, di talento, di bisogno. Ti trovi davanti a un fenomeno“, ha raccontanto all’Ansa Daniele Lucchetti, il regista della serie.
Le parole del regista Daniele Lucchetti
Lucchetti è entrato nel dettaglio della sua opera e di ciò che ha provato mentre lavorava alla docuserie su Raffaella. “Raffaella è inconoscibile. È talmente enorme il lavoro che ha svolto, e talmente tante le implicazioni che ha portato nella società, nella storia del costume, della televisione, che tre ore di documentario non possono che intaccare solo la superficie – spiega il regista –. La spinta che Raffaella aveva dall’inizio credo di averla raccontata mostrando a fondo le sue origini, ma anche parlando di ciò che non aveva ricevuto, a livello emozionale ed emotivo. Qualcosa che l’ha portata a trasferire tutta la sua l’energia vitale che era immensa, dentro lo spettacolo“.
Non possono mancare i legami con la comunità Lgbt e il ruolo di icona che nel tempo aveva guadagnato in quell’ambito. “Anche in quello dimostra la sua forza incredibile – aggiunge Luchetti –. Una delle chiavi per capirla è quella della donna romagnola, la sua origine in una regione in cui la cultura della donna, del corpo, della danza, sono affiancate alla tolleranza e a un senso di liberazione del femminile. E anche alla definizione di ‘azdora’, parola che ho imparato là. È la ‘reggitrice’, colei che nelle famiglie matriarcali romagnole regge anche l’impresa di famiglia, che sia il bar, l’albergo, l’azienda agricola, dando agli uomini l’illusione di contare ma in realtà caricandosi sulle spalle tutte le responsabilità. Mi sembra sia anche quello che abbia fatto lei nella sua vita, caricandosi sulle spalle la responsabilità dello spettacolo, dando agli uomini della sua vita, Boncompagni e Japino un posto, lavorando insieme perché si andasse sempre alla scoperta di qualcosa di nuovo“.