Nan Goldin, chi è l’artista in cima alla classifica dei più influenti personaggi dell’arte

Tutto quello che c’è da sapere sulla fotografa statunitense Nan Goldin e le sue opere che trasudano vita reale vissuta

Nan Goldin, la fotografa statunitense, recentemente, è diventata una delle figure di spicco nella lotta contro la “crisi degli oppioidi”, un’epidemia che ha causato la morte di centinaia di migliaia di persone negli Stati Uniti. Goldin, vittima stessa della dipendenza da OxyContin, ha guidato proteste contro la famiglia Sackler, proprietaria della Purdue Pharma, l’azienda farmaceutica responsabile della produzione del farmaco.

Biografia

Nan Goldin, nata il 12 settembre 1953 a Washington D.C., ha trascorso un’infanzia segnata dal suicidio della sorella maggiore, Barbara, un evento che ha avuto un impatto profondo sulla sua vita. Cresciuta in un ambiente di classe media, Goldin ha attraversato un periodo di vita tumultuoso, vivendo con diverse famiglie affidatarie dopo aver lasciato la casa dei genitori a 14 anni. La sua esperienza in una scuola hippy le ha aperto nuove prospettive, e il suo amico David Armstrong l’ha soprannominata “Nan”.

Negli anni ’70, Goldin si trasferì a New York, dedicandosi alla fotografia. La sua opera più celebre, “The Ballad of Sexual Dependency” (1985), è uno slideshow che documenta la vita quotidiana, le relazioni, e le sfide legate all’AIDS. Le immagini, spesso crudamente reali, mostrano l’intimità e la vulnerabilità della comunità LGBTQ+ e tossicodipendente a New York.

Nel 2014, Goldin ha affrontato una battaglia personale contro la dipendenza da oppioidi, sviluppata dopo un intervento chirurgico a Berlino. Il suo coinvolgimento con l’OxyContin l’ha portata a fondare il movimento “Prescription Addiction Intervention Now” (P.A.I.N.) nel 2017. Goldin ha denunciato pubblicamente la famiglia Sackler, colpevolizzandola per aver finanziato istituzioni artistiche mentre lucrava sulla crisi degli oppioidi. Goldin e i suoi attivisti hanno organizzato proteste in musei e istituzioni culturali che ricevevano donazioni dai Sackler. Le azioni dimostrative sono state volte a esporre la connessione tra i profitti della Purdue Pharma e la cultura artistica. Questo movimento ha avuto successo nel sensibilizzare l’opinione pubblica e nel costringere diverse istituzioni ad accettare la responsabilità.

Nonostante le sfide personali e l’attivismo contro la crisi degli oppioidi, Nan Goldin ha mantenuto la sua integrità artistica. Il documentario “Tutta la bellezza e il dolore” (premiato con il Leone d’Oro a Venezia nel 2022) ha evidenziato il suo coraggio nel combattere ingiustizie, dimostrando che l’arte e l’attivismo possono convergere nella creazione di un cambiamento significativo. L’arte di Nan Goldin è una testimonianza potente e cruda della vita vissuta, delle relazioni complesse e della r-esistenza dei corpi che sfidano le norme sociali. Nel documentario, attribuisce il suo bisogno di fotografare al tragico suicidio della sorella Barbara Holly Goldin nel 1965. Questo dolore, che ha paragonato a una ferita sanguinante, ha trovato espressione nella fotografia, diventando il mezzo attraverso il quale ha elaborato il lutto.

Un’atlante della vita reale

In molti modi, Goldin ha creato un atlante della vita reale, sfidando la narrazione tradizionale e creando uno spazio dove la verità è più sfaccettata e autentica. La sua fotografia si propone di rivelare e celebrare piuttosto che giudicare o oggettivare. Il suo sguardo sulle relazioni intime, siano esse romantiche, amichevoli o familiari, si allontana da stereotipi e convenzioni. Durante la crisi dell’Aids degli anni ’80 e ’90, Goldin ha assunto un ruolo attivo nel documentare la malattia e il suo impatto devastante sulla comunità LGBTQ+. Attraverso le sue fotografie, ha fissato nel tempo non solo i corpi malati, ma anche la loro forza, la loro fragilità e la loro capacità di r-esistere. Fotografie come “Gilles in His Hospital Bed” catturano l’abisso tra la vita e la morte, mentre altre come “Gilles and Gotcho Embracing” mostrano il desiderio di connessione e sostegno. Goldin ha contribuito significativamente a ridefinire l’estetica dei corpi drag e trans.

fotografia nan goldin
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La sua fotografia non cerca semplicemente di documentare, ma di comprendere come questi corpi abbiano creato e ricreato la propria identità attraverso pratiche artistiche, tecniche e politiche. Immagini come “Bea As a Blonde Venus” sono una celebrazione di corpi che sfidano le aspettative di genere, rivendicando il diritto di esistere senza compromessi.

Il montaggio e la creazione di emozioni

Goldin utilizza il montaggio delle sue fotografie per creare un’esperienza emotiva intensa nei suoi slide show. La scelta delle immagini, il ritmo e l’accompagnamento sonoro lavorano insieme per suscitare risposte viscerali dal pubblico. Questo approccio si allontana dalla semplice documentazione, puntando a una comprensione più profonda delle storie di vita raccontate attraverso le immagini.

Uno sguardo ecologico

Il concetto di “sguardo ecologico” di Goldin, ispirato a Luigi Ghirri, si riflette nella sua capacità di catturare il margine, il queer e la subalternità senza ridurre o esotizzare. Il suo sguardo rispettoso e inclusivo si posiziona come una forza di resistenza contro la tendenza occidentale di oggettivare l'”altro.”

La post-fotografia di Nan Goldin: un nuovo modo di raccontare

Nicholas Mirzoeff, teorico della cultura visiva, ha suggerito che Nan Goldin potrebbe essere considerata la prima post-fotografa. La sua opera sposta la fotografia da un atto voyeuristico a quello di un testimone, partecipando fisicamente alla scena e riportandola attraverso le immagini. La sua arte cambia la natura stessa della fotografia, liberandola dalla responsabilità di rappresentare la realtà.

Gli intimi soggetti di Goldin

Gli scatti di Goldin sorgono dall’intimità della sua vita e delle relazioni che ha sviluppato nel corso delle sue esperienze. La sua fotografia cattura la vita vissuta, l’accettazione e la ricerca dell’identità. I soggetti non sono semplici estranei, ma una comunità di amici, artisti, bisessuali, spiriti liberi che sfidano i ruoli sociali imposti. Ogni fotografia diventa un atto sociale, una testimonianza di una realtà spesso trascurata.

Il rapporto con Cookie Muller

In una toccante fotografia di Nan Goldin, Cookie Mueller è ritratta di fronte alla bara di suo marito, Vittorio Scarpati, con lo sguardo altrove, come se già si trovasse in un luogo dove la morte non può raggiungerla. Tuttavia, il destino di Cookie non sarà diverso; morirà anch’essa a causa di complicazioni legate all’AIDS appena un paio di settimane dopo la morte di Vittorio nel 1989. La fotografia cattura un momento in cui la presenza di Cookie è triste ma distante, quasi un fantasma di sé stessa: una ragazza hippie che viaggiava per gli Stati Uniti con la famiglia, musa di John Waters, scrittrice per l’East Village Voice e infine musa dell’amica fotografa Nan Goldin.

Oltre a recitare e diventare una riconosciuta “it girl”, Cookie si dedica alla scrittura, una passione coltivata fin dall’infanzia e intensificatasi con il trasferimento a New York. Contribuisce all’East Village Eye con la sua rubrica “Ask Dr. Mueller” e a diverse pubblicazioni d’arte. Nella New York degli eccessi, delle droghe e della creatività, Cookie emerge come un simbolo libero e selvaggio della scena degli anni ’80. Durante questo periodo, incontra la fotografa Nan Goldin, impegnata nel suo celebre lavoro “The Ballad of Sexual Dependency”. Cookie entra a far parte della tribù di Nan, diventando una delle preferite nella scena della Bowery, segnata da dipendenze amorose, eroina e alcool. I suoi libri, tra cui il memoriale “Walking Through Clear Water in a Pool Painted Black” e “Garden of Ashes”, diventano opere cult dopo la sua morte.

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